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October 9, 2013 | Marcello Di Lisa on Classic Voice

Partiture perdute

by Daniela Zacconi (n. 64, September-October 2013)

Ricerca filologica e attenzione critica contemporanea: sono gli ingredienti che rendono significativa l'esperienza del clavicembalista e direttore Marcello Di Lisa e del suo Concerto de' Cavalieri in un panorama come quello della Musica Antica, ricco di voci e contributi originali. Capaci nel volgere di pochi anni di imporsi come interpreti di riferimento del Barocco e non solo, Di Lisa & Concerto de' Cavalieri hanno saputo mettersi in evidenza grazie a un articolato lavoro di recupero e riproposta del '600 e 700 italiano. Operazione che ha prodotto risultati organici come il revival del misconosciuto Alessandro Scarlatti (partito da The Baroque Project realizzato con Sony Classical ma poi confermato con eventi come la presentazione in tempi moderni di un gioiello come Erminia, Tancredi, Polidoro e Pastore, fatta rivivere lo scorso anno dopo quasi tre secoli) o eventi come l’inedito Tito Manlio di Vivaldi che la formazione ha proposto a settembre nel prestigioso Festival barocco di Ambronay per poi portarlo in tour in Europa.

classic voice oct 2013A Marcello Di Lisa abbiamo chiesto i segreti, oggi, del percorso di riscoperta e recupero di una partitura dimenticata.
"La difficoltà inziale è l'individuazione del criterio di scelta - spiega il maestro -. Si tratta di stabilire un percorso attraverso programmi che abbiano un senso tematico storico, o musicologico, coerente. Perché una 'riscoperta' dovrebbe sempre essere valutata alla luce del valore estetico e musicologico dei pezzi prescelti, soprattutto considerando che tali pagine non finiscono poi in una teca museale ma diventano musica da far vivere e rivivere presso un pubblico di ascoltatori oggi. Il recupero di un lavoro dimenticato non dovrebbe mai essere fine a se stesso, ma costituire un arricchimento del repertorio. Può essere 'di moda' riportare alla luce indiscriminatamente il patrimonio musicale del passato, ma ci si potrebbe invece concentrare sul valore intrinseco dei pezzi, sull’effettiva utilità culturale e sulla rilevanza degli autori riproposti. È quel che ci è capitato nel Progetto Barocco. Siamo partiti da Alessandro Scarlatti proprio perché ritenevamo fosse un autore di cui solo raramente oggi si coglie il valore, anche perché larghissima parte del suo repertorio è inedito sia dal punto di vista editoriale sia discografico".

Come si stabilisce se un'opera dimenticata possiede un valore che la rende ancora fruibile oggi?
"In effetti credo che molta musica che viene oggi riscoperta per 'moda' potrebbe tranquillamente restare sotto la polvere dei secoli. Secondo me la Storia nella grandissima maggioranza dei casi effettua una selezione naturale. Il repertorio oggi noto è quello che nel corso del tempo, grazie alle stratificazioni culturali, è stato giudicato il 'meglio' della storia musicale prodotta nei secoli. Ciò non toglie che ci possano essere eccezioni rilevanti. Quello del 'canone' che stabilisce ciò che è 'grande' o 'non grande' è un problema dibattuto da quando è nata la filologia. Ed è un problema di non facile soluzione, sicuramente non univoco, con il quale, necessariamente, chi sceglie si deve confrontare sapendo che non possiede l'unica soluzione. In gran parte la selezione è dovuta al patrimonio culturale della persona che sceglie, che si orienta secondo le proprie convinzioni e le proprie categorie estetiche e culturali. Per questo la preferenza espressa da persone diverse non può quasi mai risultare uguale. Non c'è un criterio unico nell'identificazione della grandezza di un'opera. È chiaro che ci sono però categorie oggettive: come la densità concettuale dal punto di vista musicale di un'opera o il suo essere innovativa e inventiva all'interno di una determinata tradizione musicale. Sono fattori che devono essere tenuti in considerazione. Tornando a Scarlatti, per esempio, questo è sicuramente il grande valore che ne giustifica la scelta: il suo essere un fondamentale spartiacque musicale e culturale per la sua epoca. Scarlatti ha sistematizzato tutta la tradizione precedente ed è stato il faro al quale hanno guardato i grandi compositori successivi come Vivaldi e Händel.

Data per assodata la sua grandezza, cosa ne ha provocato allora l'oblio?
"Il concetto di composizione 'di cassetta' esisteva già nel '700. Il pubblico trovava più godibile un'opera di Vivaldi che, a parte la sua innegabile genialità, aveva una maggiore immediatezza formale rispetto a Scarlatti, che attingeva a una tradizione passata più formalizzata. Anche allora il pubblico dell'opera, che era un pubblico generalista esattamente come quello di oggi, cercava più facilmente l'immediatezza di Vivaldi, piuttosto che la complessità di Scarlatti".

Tornando al percorso di riscoperta, quali sono i successivi passaggi?
"Una volta stabilito l'autore, si tratta di individuare un'angolazionedalla quale guardare la sua produzione, ricercando le fonti, procedendo poi alla loro identificazione, allo studio e alla eventuale selezione sulla base del proprio progetto, che può essere quello di un'opera completa oppure di miscellanea. Il criterio è sempre quello del valore della pagina in sé, non perdendo comunque di vista l'interesse e il piacere delle persone a cui si andrà a offrire il prodotto. Se si tratta di lavori inediti, è necessario inoltre provvedere all'edizione delle fonti ed è il lavoro più duro perché si tratta di collazionare le varie fonti rintracciabili a livello internazionale, in forma di opere integrali o di frammenti. È un lavoro da segugi della tradizione".

E la prassi esecutiva?
"Una volta pronte le edizioni, si passa alla fase realizzativa. Per quanto mi riguarda, in qualità di direttore dell'ensemble, si tratta di operare non solo scelte di prassi esecutiva, ma anche di concertazione nel senso più ampio del termine. Cioè stabilire come le pagine riscoperte debbano 'risuonare' per il pubblico vivo di oggi. Questa ovviamente è la fase che da all'interprete la maggiore soddisfazione perché è il momento in cui la musica rivive fisicamente. È il momento dell'emozione che come esecutori poi speriamo di comunicare all'ascoltatore".

In che misura un musicologo/interprete applica la prassi?
"Dipende dalla maggiore o minore rigidità e/o apertura mentale dell'interprete. Ci sono quelli più ligi e integralisti e quelli, come nel mio caso, che attingono al patrimonio generale delle prassi esecutive studiate sui trattati, ma poi cercano di presentare le opere a un pubblico che non vive più nel ’700, considerandone la sensibilità contemporanea. È opportuno basarsi sulle prassi esecutive antiche, tenendo conto anche del percorso estetico compiuto successivamente dalla storia musicale. Si tratta di interpretare la musica del passato 'cristallizzata' nella sua forma originale attingendo però anche al patrimonio estetico contemporaneo. Credo infatti che un'esecuzione che abbia come unico obiettivo eseguire questa musica esattamente come suonava secoli fa sia, in sostanza, solo un'operazione museale".

Daniela Zacconi

 

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